Oggi, in una domenica silenziosa da lockdown di novembre in cui ho un po’ di tempo da dedicare alle mie cose e ai miei scritti, ho ripescato questo raccontino personale che ha a che fare con il mondo del lavoro e della sua frustrante ricerca. Penso che potranno riconoscersi in molti.
Per me era stato liberatorio scriverlo. E poi, c’è un lieto fine.
Ricerca. Pausa. Riflessione.
Era l’ennesimo curriculum che mandava quel giorno.
Ormai le sembrava di perdere solo tempo. Le offerte di lavoro potevano sembrare tante ma alla fine, quelle adatte a lei, si riducevano a pochissime.
Sapeva di gente che mandava a caso mille curricula per qualunque tipo di impiego. Lei invece aveva sempre cercato di rispondere solo alle offerte per le quali si riteneva idonea.
Eppure non poteva non notare l’assurdità di certi annunci: una miriade di “stage” gratuiti o mal pagati e per i quali quasi sempre era chiesto un anno o più di esperienza nella medesima mansione (lei viaggiava verso i trenta e non aveva più intenzione di farne), proposte in cui si chiedevano 5 anni di esperienza, quando tutti sapevano quanto era difficile riuscire a far durare un lavoro più di un anno, offerte che nascondevano lavori truffa del porta a porta, altri con titoli improbabili in inglese che non si capiva nemmeno a chi fossero rivolti.
In quel marasma di roba era difficile riuscire a trovare qualche lavoro che sembrasse più o meno serio e che sembrasse decentemente pagato. E se anche riusciva a trovarlo non riceveva mai alcuna risposta.
Aveva provato a mandare curricula spontanei alle aziende che le sembravano adatte. Poche avevano risposto, ringraziando e dicendo che avrebbero rigirato il cv “a chi di dovere”.
Eppure aveva studiato, era laureata, aveva fatto diverse esperienze lavorative nel suo campo. Ma sapeva che, come lei, c’erano milioni di giovani in quella situazione.
“Perché non vai all’estero?”
Quante volte si era sentita fare questa domanda. E quante volte aveva risposto “Perché vorrei provare a stare qui e fare carriera qui. Ho la fortuna di avere una casa, di essermi liberata dell’affitto e di convivere felicemente. Ho anche una gatta a cui tengo. Andrei all’estero solo se trovassi un lavoro veramente interessante, per cui valesse davvero la pena spostarsi.”
Ovviamente non le dispiaceva l’idea di fare un’esperienza in un altro paese, le piaceva viaggiare e aveva visitato parecchi paesi, ma la prospettiva di andare a fare la cameriera o la lavapiatti a Londra come tanti suoi coetanei per poi fare i conti con l’affitto, la vita costosa e tutto il resto non le sembrava una gran cosa. Alcuni suoi conoscenti avevano fatto qualche lavoro all’estero, ma niente di serio, tutti mal pagati. Andavano via più per divertimento e per fare nuove esperienze amorose e sessuali.
Forse avrebbe dovuto partire prima, ora le sembrava troppo tardi. Comunque, delle “offerte” di lavoro dall’estero le aveva ricevute anche lei, negli anni.
Eccone due tragicomiche, pescate a caso.
Una proveniva dal Giappone: le avevano scritto che la sua tipologia fisica rientrava nei loro interessi e che, se avesse accettato la proposta, avrebbe avuto volo, vitto, alloggio pagati, avrebbe imparato la lingua e in cambio avrebbe “solo” dovuto offrire piaceri sessuali agli uomini giapponesi. Le garantivano l’anonimato, lì non poteva conoscere nessuno, e una piacevole esperienza culturale.
Ok.
Un’altra proveniva dal Kuwait. Le chiedevano di venire ad insegnare in un istituto privato. All’inizio pensava potesse essere una proposta interessante (il Kuwait è uno degli stati più ricchi al mondo) ma a seguito del colloquio capì che era una presa in giro. Sì, le offrivano l’alloggio e tutto l’appoggio del mondo, ma lo stipendio arrivava a un massimo di 2000€ e, calcolando che lì la vita è carissima (12€ per una confezione di caffè) e che in pratica non si può fare nulla (è il paese più caldo del mondo, non c’è praticamente nulla da vedere, non si possono bere alcolici e la libertà delle donne è decisamente relativa), ne valeva davvero la pena? In quel momento, fra l’altro, aveva un altro lavoro più interessante, perciò non aveva avuto troppe remore nel rifiutare.
Tuttavia vedeva che la situazione, nel suo paese, non si sbloccava.
Ogni volta, ed erano anni ormai, si trovava un lavoro più o meno interessante, poi per mesi niente, poi cercava di ideare qualcosa di nuovo per passare il tempo, alla fine saltava di nuovo fuori un lavoro per poi finire e ricominciare di nuovo tutto da capo.
Parecchie aziende avevano concluso i rapporti con lei senza un motivo preciso, anche quando aveva lavorato bene e aveva portato soltanto benefici e miglioramenti.
Non ne aveva fatto un dramma personale, semplicemente aveva capito che lo facevano sempre e solo per risparmiare, in questa eterna e insensata lotta del “miglior risultato al minor prezzo”, dove contavano di più i capitali risparmiati che le persone.
Ormai conosceva la situazione a memoria.
Aveva provato a ideare qualcosa di nuovo, ma dopo l’incontro con il commercialista aveva capito che era impossibile. Se anche avesse voluto investire tutti quei soldi e fosse riuscita a guadagnarci qualcosa (impresa praticamente impossibile, almeno nei primi anni), tutto sarebbe andato in tasse.
Si sentiva bloccata, frustrata. Non sapeva più da che parte dirigersi. Cadere nel baratro dello sconforto era davvero tanto facile.
Certe volte provava invidia, e si odiava quando era così. Le sembrava che tutti i suoi conoscenti avessero carriere brillanti. Vedeva che persone arriviste e senza scrupoli erano arrivate dove volevano. Altre, magari anche meno brillanti di lei, facevano lavori che lei avrebbe potuto fare meglio.
Si sentiva stupida e sfortunata, faceva il madornale errore di piangersi addosso e di compatirsi.
“Devi avere pazienza, le cose accadono”. Le dicevano. Ma in quei momenti di crisi era stufa di avere sempre pazienza, di aspettare. Le sembrava solo di perdere tempo, di aver perso il treno.
Poi, un giorno capì.
Capì che la situazione era quella, nulla era cambiato. Tutto dipendeva però da quale punto di vista la si guardava.
Ogni persona che le poteva sembrare più fortunata di lei aveva avuto la sua dose di sfortuna, in un altro momento.
La vita è sempre ad alti e bassi ed è così per tutti. E lamentarsi non serve assolutamente a niente.
Persone con carriere che le sembravano brillanti e perfette potevano aver faticato parecchio per arrivarci, Mostrando al mondo solo il lato migliore. Altre che millantavano grandi successi, in realtà stavano nascondendo i propri fallimenti. Altre ancora magari avevano situazioni sentimentali o famigliari disastrose perché avevano sacrificato tutto per la carriera.
C’era sempre il rovescio della medaglia, e lei non doveva invidiare nessuno perché non conosceva davvero chi era quella persona. Non poteva ergersi a giudice, perché nessuno può sapere cosa c’è dietro la facciata, quali drammi o problemi nascondono le persone.
In quel momento rifletté non su quello che non aveva, ma su ciò che aveva: un ragazzo che amava ricambiata, una meravigliosa gatta che adorava, una bella casa, una famiglia che le voleva bene, amici che la sostenevano.
Altre persone magari avevano il lavoro che lei sognava, ma non avevano niente di tutto questo.
La vita è fatta di una continua, infinita ricerca di equilibrio, così come il bene e il male e qualunque opposto che vive e sopravvive proprio grazie al suo contrario.
In quel momento lei era in equilibrio da una parte e non da un’altra.
Ma da tutto questo doveva solo trarre insegnamento e non lasciarsi scoraggiare. Decise di dedicarsi a qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo. Un cambiamento era quello che in quella circostanza ci voleva.
Sorrise e, mentre stilava una lista di cose nuove da fare, si sentiva più serena, verso il mondo e verso sé stessa.
Post Scriptum
Questo breve racconto l’avevo scritto nel febbraio 2018 per liberarmi dalla frustrazione che provavo in quel momento nell’ennesima ricerca di un lavoro o di nuovi contatti.
Posso dire che nel giro di pochi mesi le cose sono veramente decollate e ora ho una vita da copywriter freelance davvero pienissima.
Penso davvero che bisogna avere costanza e pazienza. Tanta, tantissima pazienza. Ed esserlo al giorno d’oggi è davvero difficile, abituati come siamo ad avere sempre tutto e subito.
Ma se la strada è quella giusta, alla fine si aprono non le porte ma i portoni.
Ovviamente viviamo in un mondo complicato e difficile. Bisogna sempre essere pronti al cambiamento e non sentirsi mai “arrivati”, perchè non si smette mai d’imparare qualcosa.
Anche le situazioni di crisi rivelano sempre nuove opportunità.
E bisogna essere contenti di quello che si ha, in ogni momento.
Immagini prese da Birmingham Museums Trust
mplrs.com
Good post.