L’arancione è come un uomo sicuro della sua forza, che dà un’idea di salute. Il suo suono sembra quello di una campana che invita all’Angelus, o di un robusto contralto, o di una viola che esegue un largo.
Vasilij Kandinskij
L’arancione si ottiene mescolando i colori primari giallo e rosso e, collocandosi nello specchio cromatico della luce fra le due tinte, si associa sia al regno dell’oro, dunque a ciò che è incorruttibile ed eterno, sia al sangue, quindi al vigore, alla dinamicità e alla mutevolezza.
Il brillante zafferano d’Oriente unisce questi due elementi: evoca il fuoco e l’eccitazione, l’unità tantrica degli opposti, il vigore rigoglioso e l’essenza sacra della vita.
Ai tempi del Buddha i prigionieri erano vestiti di arancione e si diceva che l’Illuminato avesse scelto una veste di questo colore in segno di pietà nei confronti dei diseredati e condannati.
Tinta sgargiante e appariscente, l’arancione è ancora oggi simbolo di detenzione, avvertimento e protezione. Basti pensare alla tenuta carceraria in America e alla vivida livrea della farfalla monarca, che segnala ai predatori la presenza nel suo corpo di tossine potenzialmente letali.
L’arancione è il colore dell’ascesa, della discesa e della combustione solare, le cui sfumature sono connesse ai processi di emersione, riscaldamento, sviluppo e perfezionamento e all’intensità del desiderio.
Tra gli antichi romani la sposa indossava il flammeum, un velo arancione come la fiamma di Aurora. E si riteneva che Giove avesse donato a Giunone un’arancia rotonda, ricca di semi e feconda nel giorno del loro matrimonio.
Michael Sendivogius, alchimista del XVII secolo, riconobbe nell‘arancia maturata al sole un’emblema del calore trasmutante della psiche, sufficiente a far in modo che la natura di una cosa generi il suo spirito vitale, lo porti a maturazione e produca il suo seme.
Nell’immagine sopra, l’accesso al monte dei filosofi si apre tra mura che rappresentano le dottrine sofistiche sbagliate. Il vecchio all’ingresso è l’antimonio saturnino, qui definito “il padre dei metalli”. Gli alchimisti identificano questo vecchio guardiano con Boas, il contadino di Betlemme, avo di Davide. Più in alto l’alchimista arabo Senior Zadith pianta l’albero del Sole e della Luna, da cui spunta il lapis (ovvero la pietra Filosofale). Di questo alchimista parla anche un passo dell’Aurora Consurgens, in cui il lapis è paragonato a una casa costruita su di una solida roccia. Chi vi accede potrà trovare la fonte dell’eterna giovinezza.
Sempre nel testo alchemico Aurora consurgens si legge: “…l’aurora è il termine medio tra giorno e notte, e risplende con due colori: rosso e citrino (giallo). Allo stesso modo, quest’arte genera il citrino e il rosso, come termini medi tra il nero e il bianco.” L’aurora è “il termine della notte e il principio del giorno, nonché madre del Sole. Al culmine del suo rosseggiare, inoltre, l’aurora è il termine dell’oscurità e la cacciata della notte”.
L’arancione è dunque un simbolo di maturazione e raccolto, della Luna autunnale, di assimilazione e realizzazione.
Ma il suo calore indica anche le trasformazioni più violente, drastiche e improvvise della natura e della psiche: il fuoco nei boschi, l’esplosione di un vulcano, la deflagrazione nucleare.
L’arancione è il colore di Swadisthana, il secondo chakra posizionato nel basso ventre, poco sopra il pube in corrispondenza dell’osso sacro. Il simbolo è una falce di luna racchiusa in un cerchio, in un fiore di loto a sei petali. Il secondo chakra rappresenta le emozioni di base, le relazioni, la violenza, le dipendenze, il piacere, la gioia e la creatività. E’ connesso all’elemento dell’acqua, alle emozioni e alla sessualità e può portare fluidità e grazia, profondità di sentimenti e soddisfazione sessuale.
Alcune delle informazioni sono tratte da Il libro dei simboli e Alchimia & Mistica, entrambi Taschen editore.
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